Il dono della Pasqua
La gioia esuberante che sorprende la prima comunità cristiana all’annuncio dell’Angelo: ” Non è qui: è Risorto…Cercatelo tra i vivi…”, come vento impetuoso possa invadere la nostra comunità di Sant’Apollinare in Baggio, spazzando le nostre ansie e le nostre paure, aprendo i cuori alla speranza incredibile di un Dio vivo, accanto a noi per sempre, pellegrino sulle nostre strade, memoria provocante di un “quotidiano” abitato dalla Sua presenza di resurrezione, “Vita nuova”, possibile, oggi e qui…” lo sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo…”.
Irruzione di vita e di speranza nel tempo delle guerre e delle nevrosi, del terrore nucleare, delle ansie che annientano, della terra che sembra divenuta improvvisamente deserto inospitale, non più in grado di accogliere uomini e donne in fuga da inferni invivibili.
Al fascino di un uomo di Chiesa, “testimone di risurrezione “del nostro tempo, vescovo di Molfetta, don Antonino Bello, morto di tumore a 52 anni, presidente nazionale di “Pax Christi”, luminoso esempio di pace e vita, affido l’augurio per questa nostra Pasqua 2011.
Buona Pasqua a tutti!
Don Vittorio
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Sono terribilmente indeciso sul tono da dare al mio augurio pasquale. Si diventa aridi o quando si hanno troppe cose da dire, o quando se ne hanno troppe poche. Io ne avrei tante, ma non trovo le parole. Vorrei parlarvi a lungo di tombe vuote, come grembi materni dopo il parto. Di macigni che rotolano dall’imboccatura dei sepolcri, liberandone la preda. Di pianti accorati di donne che cercano tra i morti il vivente. Ma ho l’impressione che mi attarderei in pezzi di bravura letteraria.
Vorrei parlarvi a lungo di primavere che irrompono, come segni di tempi interiori o di stagioni spirituali fiorenti sotto l’urto della grazia. Di fiumi d’erbe calpestate dai sandali di Maddalene premurose.
Di albe incantate che mutano in danza il lamento degli uomini. Ma forse spiazzerei chi non crede che la poesia è l’anima più vera della realtà.
Vorrei parlarvi a lungo di lui, risorto con le stigmate del dolore. Di schiavitù sconfitte. Di catene rotte. Di lacrime asciugate, Di abissi inebrianti di libertà, verso cui precipita, dopo quel mattino, la nostra vicenda personale. Ma forse resterebbero fuori gioco coloro che non credo alla Risurrezione come alla peripezia decisiva di tutta la storia.
E allora, come formulerò un augurio pasquale buono per tutti e accettabile anche dai tanti Tommaso che oggi non credono più?
Come tradurrò in termini nuovi un annuncio di liberazione io, successore di quelli apostoli che potevano dire: “Non abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la risurrezione dei morti”? Ecco, forse solo con una preghiera.
Aiutaci, o Signore, a portare avanti nel mondo e dentro noi la tua Risurrezione.
Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ricchezza, l’egoismo, ii peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza hanno murato gli uomini vivi.
Metti una grande speranza nel cuore degli uomini, specialmente chi piange.
Concedi, a chi non crede in te, di comprendere che la tua Pasqua è l’unica forza della storia perennemente eversiva.
E poi, finalmente, o Signore, restituisci anche noi, tuoi credenti, alla nostra condizione di uomini.
Collocazione provvisoria
Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria.
La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso da li, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo.
Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima, che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progetti in frantumi, la tue fatiche distrutte.
Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto ad ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti e tu sei rimasto sempre a terra. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”.
Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio.
Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce.
C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo.
“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo di cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno, alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delineano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quel orario, c’è il divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovraumana. Ecco già una mano forata ché schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fonte febbricitante.
Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra assurdo.
Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
Don Tonino Vescovo